L’età pediatrica comprende periodi della vita estremamente diversi e non paragonabili tra di loro. Dal neonato all’adolescente avvengono le più importanti modificazioni sia dal punto di vista psicologico che organico. La sofferenza dei bambini si presenta in forme molto diverse che possono investire, oltre al malessere fisico, l’ambito relazionale, cognitivo ed evolutivo, investendo la sfera dei comportamenti. In quest’ultimo caso si possono avere tanto fenomeni di regressione che di anticipazione. Comunque nella maggior parte dei casi i problemi di bambini e adolescenti vengono portati all’attenzione degli operatori dai genitori, i quali di solito motivano la richiesta d’aiuto presentando essenzialmente i problemi di adattamento dei figli e la loro preoccupazione sulle prospettive evolutive, cioè sul futuro dei figli stessi, piuttosto che sulla loro sofferenza attuale.
Il trapianto è un’efficace terapia per alcune gravi malattie impossibili da curare e può fornire una durata ed una qualità di vita che nessun altro trattamento è in grado di garantire seppur, a tutt’oggi, lo squilibrio tra il numero di pazienti in lista di attesa e gli organi disponibili, è ancora troppo elevato. In particolare, il problema del prelievo e della donazione di organi da cadavere, oppure da vivente, non è semplice perché pone questioni biologiche, morali, religiose, psicologiche e sociali. A tal proposito, nella nostra analisi descrittiva della ricerca vorremmo sviluppare un ragionamento finalizzato esclusivamente alla definizione e alla gestione delle problematiche emotive, psicologiche e relazionali che, inevitabilmente, si collegano all’esperienza della donazione e del trapianto, esulando da ogni altra considerazione.
Nelladonazionee nel prelievo, far fronte a problemi emotivi e psicologici, significa confrontarsi con sentimenti molto intensi e contraddittori quali la demoralizzazione, la solitudine, il dolore, l’angoscia, la umanità, ecc., mentre , per chi riceve il trapiantoil riscontro si realizza con sentimenti quali la speranza, la gioia, il desiderio di vita, la rinascita . Significa cioè ripensarsi e ripensare alla concezione di vita e di morte, che ognuno di noi porta dentro di sé, nel suo vissuto interiore e che esprime nella realtà dei rapporti con le altre persone.
Le aspettative di vita nel trapiantato renale hanno posto un forte accento sulla qualità di vita del paziente, sul suo inserimento sociale e su alcuni aspetti psicologici legati alla malattia cronica. Infatti il trapianto di rene, che per molti bambini disegna la “liberazione” dalle restrizioni imposte da una sopravvivenza legata a diverse “dipendenze” (medici, strumenti diagnostici etc) quando è l’unica alternativa ad una malattia invalidante ed a prognosi infausta, suscita, già nella fase di attesa, dubbi, ansietà ed angosce che, nel periodo post-operatorio, possono diventare paure per le infezioni, timori per il rigetto e per la fine di una speranza dagli esiti imprevedibili e pieni di tensione. Le ansie dei pazienti sembrano essere condivise all’interno della famiglia, talvolta non in modo esplicito, verbalizzato, quasi come un segreto tra “consanguinei”, come se il trapianto riguardasse l’intero nucleo familiare.
Tali vissuti, molto intensi, sono reazioni emotive e psicologiche di bambini e adolescenti che, attraverso problemi di adattamento psicosociale, ansia, depressione, problemi comportamentali e difficoltà di apprendimento, esprimono il disagio e la sofferenza personale dovuta al fatto di dover affrontare un’esperienza incerta, intensamente stressante e gravida di conseguenze. Solo in alcuni casi tali tensioni possono diventare anche patologiche. Infatti, il disagio psicologico presente nell’esperienza della donazione e del trapianto può incidere sia sul processo di donazione che sull’esito del trapianto e , pertanto, deve essere affrontato in maniera adeguata e competente. Per queste ragioni, l’assistenza psicologica specialistica, in tutte le fasi del trapianto, è una realtà presente tra gli operatori sanitari della dialisi pediatrica. Essi si trovano coinvolti, con il loro lavoro in tematiche altamente emotive sia per le procedure invasive praticate, sia per i contatti relazionali-affettivi con i bambini a ritmo obbligato per tre volte alla settimana.
Ognuna delle fasi del trapianto ha caratteristiche proprie e presenta problematiche psicologiche specifiche che devono essere riconosciute ed affrontate per favorire una buona preparazione ed un buon adattamento sia nel bambino che nei genitori. Ad esempio, nella condizione pre-trapianto l’inclusione in una “lista di attesa” suscita ansietà, insicurezze, ambivalenze, paure, aspettative, frustrazioni, che inalcuni pazienti se associate ad un alto livello di sofferenza psicologica, possono avere conseguenze tali da portare al rifiuto del trapianto o l’esclusione da parte del genitore di donare il proprio organo; mentre nella fase post-trapianto (la fase acuta del trapianto, dell’immediato post-trapianto e del periodo trascorso in terapia intensiva) si caratterizza per i vissuti specifici che il paziente sperimenta. È in questa fase che il paziente, da un lato, sente di non essere mai stato così vicino alla morte e dall’altro avverte che riprende allo stesso tempo una nuova vita integrando l’organo trapiantato, da un estraneo, nell’immagine di sé ed in un corpo che, nonostante fosse malato, era sentito come unico e proprio.
A tal riguardo bisogna sottolineare come dagli ultimi studi in letteratura, emerge che i pazienti che hanno ricevuto un protocollo di sostegno psicologico prima dell’inizio della dialisi, secondo un modello integrato e successivamente in maniera periodica e/o indirettamente tramite gli operatori, migliorano la compliance al trattamento e i vissuti emotivi sia rispetto all’ansia che alla depressione. I pazienti sembrano recuperare significativi livelli di qualità della vita, con modificazioni che riguardano gli aspetti fisici e in misura ancora più evidente quelli emotivi e psicologici.