Il corpo quel grande mondo sconosciuto. Per Omero il corpo non è rappresentativo di un teatro che si svolge alle sue spalle, il corpo è immediatamente espressivo. Il nostro corpo esprime noi stessi, non rappresenta qualche cosa che si svolge nella nostra interiorità. Proprio come il piede di Achille non è una cosa, ma la sua possibilità di superare l’avversario, allo stesso modo il suo tallone non è il solido appoggio della gamba, ma il suo rischio di vita. Nonostante i progressi tecnologici in ambito oncologico, infatti, il vissuto soggettivo del tumore cerebrale e l’interpretazione individuale e sociale di questa “brutale malattia”, restano quelli di un processo insidioso e incontrollabile che invade, trasforma la persona e la sua famiglia.
Nell’ambito della malattia neoplastica, le tematiche riguardanti il bambino e l’adolescente rivestono un ruolo particolare, poiché non sono riconducibili tout court a quelle dell’adulto, ma necessitano di attenzione specifica. Poche altre malattie hanno così lampanti conseguenze per la persona ammalata, minacciando o invadendo su tutte le dimensioni su cui si fonda l’unicità dell’essere umano come ad esempio la dimensione fisica, la dimensione psicologica, la dimensione spirituale ed esistenziale e infine la dimensione relazionale .
Il processo di malattia si pone dunque come un evento inatteso e sconosciuto che interrompe in maniera brusca il percorso di vita della persona e ne frammenta tutte le dimensioni sulle quali si basa l’esistenza umana (Grassi, Biondi, Costantini, 2003).
Il percorso che riguarda il passaggio dalla salute alla malattia è certamente articolato e difficile, ma soprattutto, non può essere compreso, nella sua essenza complessiva, in senso trasversale (quel paziente con quel problema in quel dato momento) bensì in senso longitudinale (quel paziente con la propria storia di salute e malattia). Lo stesso percorso di malattia-tumore cerebrale è posto all’interno di un continuum che va dalla comparsa dei primi sintomi di sospetto alla guarigione o alla fase di terminalità (Holland, 1989). Come recitava in uno scritto del 1818 Arthur Schopenhauer “Il gran sogno della vita è uno soltanto, la volontà di vivere” epur rendendomi conto delle molteplici sfaccettature della sofferenza vorrei invitare la nostra mente ad affacciarsi a due riflessioni: le aspettative di vita e le accettazioni di un limite. “Noi abbiamo bisogno difronte a situazioni complesse non di semplificare banalmente ma di avere delle tecniche che permettono di ridurre la complessità a qualcosa di gestibile”. Il primo- quando un limitenon è valicabileed il convivere con questo assume un valore centrale. Potremmo definirlo periodo di ri-orientamento per dargli nuovi significati…il principale passaggio per accettare un limite è riconoscerlo, entrarci in contatto fino a toccare il dolore…perchè il dolore solo se attraversato decanta. L’unico modo per venire fuori è passarci nel mezzo e prenderne distanza. Infatti il drammatico tentativo di cancellare ogni limite fallisce costantemente portando con sé dolore, paura, angoscia, senso di impotenza e, talvolta, senso di colpa e rabbia. In sostanza non abbracciare il proprio limite, non fa altro che confermarlo nel presente, aggravandone gli effetti sino ad un’eventuale reazione di vero e proprio panico.
Il secondo limite identificato come valicabileci proietta verso l’obiettivo di tirare fuori le proprie risorse e non lasciarsi affossare da questo per sviluppare ulteriori talenti. Il corpo influenza la mente tanto quanto la mente influenza il corpo.Sempre più alta la qualità di vita, più lunga l’età che viviamo, più valido e soddisfacente il nostro aspetto fisico. Avete mai pensato che un problema diventa tale quando una delle nostre risorse si traveste da limite? Pensiamo ad esempio ad una mosca, la mosca vede i movimenti con una scala temporale molto diversa dalla nostra, per cui un nostro movimento veloce è percepito dall’insetto come lentissimo, tanto da permettergli di reagire con prontezza alle nostre aggressioni. Questa diversità non mi sembra che sia per la mosca un limite anzi una percezione di tempo molto più efficace della nostra. L’astuzia sta nell’avere il coraggio di ammettere il limite, per poter smascherare la risorsa, al fine di poterla utilizzare. “I limiti rovesciati su se stessi diventano risorse che, a loro volta, trasformano le fragilità in punti di forza.”
Con l’insorgere della malattia si verificano importanti cambiamenti non solo nella relazione madre-bambino ma anche in tutta la famiglia, la famiglia come “sistema”, tracciato inestricabile, per lo sviluppo del bambino/adolescente. Ogni famiglia articola e struttura nel corso della sua evoluzione le modalità di risposta agli eventi, le esperienze positive o negative maturate da ciascun membro nel corso del tempo e della convivenza.
Tutto questo definisce la storia della famiglia (Grassi, Biondi, Costantini, 2003). Quando il paziente è in età evolutiva, la condizione della famiglia è maggiormente critica. Per quanto riguarda i genitori, in primis occorre esaminare il sentimento di responsabilità, sempre presente, perchè intrecciato al loro ruolo generatore, che li pone in una posizione determinante rispetto al figlio. In secondo luogo è fondamentale saper riconoscere la profonda differenza tra questa tematica radicata nella posizione genitoriale e il sentimento di colpa, in rapporto a precedenti trascuratezze o ad atteggiamenti di ostilità e/o rifiuto verso il bambino. É difficile essere familiare di una persona che vive con una patologia così importante, è vero, ma lo è ancora di più saper discriminare i modi e le strategie da adottare per aiutare a sostenere un nostro caro in questa battaglia. Le famiglie nel momento in cui entrano a contatto con i sentimenti e i bisogni umani devono divenire genit-eroi. Divenirlo rappresenta una fantastica occasione per ri-mettersi in gioco e per cercare di cambiare ciò che impedisce di esprimersi liberamente attraverso modalità di relazioni limitate e limitanti. Nella crisi, la nascita. Come suggerisce Hannah Arendt in un suo scritto “Gli esseri umani non sono fatti per morire, sono fatti per nascere. Non sono fatti per finire, ma sono fatti per cominciare.” Questo vuol dire che gli esseri umani sono fatti per nascere, più volte. Ricominciare si traduce in trasformare la sofferenza, il dolore, i sintomi, il senso di impotenza, la vita che si smarrisce… in una possibilità, in una scelta. Dobbiamo concedere a noi stessi di riappropriarci il più rapidamente possibile della temporalità della vita. Ovviamente non perdendo la consapevolezza della realtà e non cancellando il passato che non può essere d’altro canto cambiato. Dovremmo aiutare noi stessi e il nuovo ruolo genit-eroi a ridisporre il passato nel passato, registrando i momenti difficili al fine di riattivare la capacità di vivere il proprio futuro. In quanto, ciò a cui si oppone resistenza inchioda, ciò che viene accettato come parte di se stessi e della propria vita, libera. Ricordando la citazione di Ernest Hemingway <<Il mondo ci spezza tutti quanti, ma solo alcuni diventano più forti là dove sono stati spezzati>>. Possiamo ancora credere che non servono ali per poter volare ma solide sicurezze in cui credere e infinita fiducia nelle proprie risorse, al fine di poter ogni giorno riconoscere la propria unicità